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Poker e psicologia: il paradosso del pregio e del difetto

Da quando avete cominciato a giocare a poker, vi sarete accorti da soli, o attraverso ottimi consigli di amici, coach e di chi ne sa più e meglio di voi, quanto la psicologia possa essere importante in un gioco dove per vincere con costanza è necessario prestare attenzione a tutti gli aspetti marginali.

La psicologia non fa parte delle questioni marginali del poker, ma viene sicuramente dopo la mera capacità tecnica di ogni giocatore.

In questo pezzo troverete dei consigli per curare l'aspetto del poker legato alla psicologia, una volta che vi siederete ad un tavolo da poker, sia esso live oppure online.

Poker e psicologia: se ci stai già pensando, stai già vincendo

Il fatto stesso che un giocatore, di qualsiasi fascia esso sia, abbia già cominciato a pensare come migliorare un aspetto così importante del gioco, denota quella maturità utile a crescere per raggiungere i propri obiettivi.

Se non doveste essere quel tipo di giocatore, dovreste farvi un paio di domande. Curare l'espetto mentale delle proprie sessioni, serve per mettere in sesto alcuni dei leaks che originano la causa delle nostre perdite al tavolo.

Più si lavora dal principio con il fine di mettere a posto le proprie lacune e più in fretta si cresce come giocatori. E se le proprie lacune sono originate da una situazione mentale non eccezionale, il solo fatto di rendersene conto è un gigantesco passo avanti.

Le similitudini con altri campi della real life

Se ci fate caso la componente psicologica è presente in tutte le massime espressioni della sfera sociale di ogni persona. Provate a pensare allo sport, al lavoro, alle relazioni: niente si ottiene con il massimo risultato se non si cura la sfera psicologica ed emotiva.

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Ma tornando al poker come puoi pensare di migliorare le tue prestazioni al tavolo, che esso sia virtuale o dal vivo? Quando si fa un percorso di una certa importanza, capire quali sono i nostri difetti, diventa una sorta di sfida con se stessi che tocca varie sfere della nostra personalità, tra di queste, l'orgoglio.

Già, l'orgoglio. Perché bisogna sempre fare i conti con la nostra eterna lotta tra i fantasmi che ci perseguitano e la capacità di riconoscerli per sconfiggerli e, per fare questo, prima di sconfiggere loro, occorre sconfiggere l'orgoglio che li cela.

Il paradosso del difetto/pregio

La priorità, in effetti, non deve essere quella di fare guerra totale contro quelli che abbiamo riconosciuto essere i nostri difetti.

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Al contrario, il nostro fine deve essere quello di assecondare le nostre inclinazioni, senza doverle per forza eliminare, cosa che, intanto non riusciremmo a fare e che poi ci porterebbe gioco forza ad odiare noi stessi creando ulteriori difficoltà.

A grandi linee, quindi, se abbiamo un temperamento forte, deciso, irrequieto e ci accorgiamo che tutte queste caratteristiche non sono una qualità, ma un ingombro che non ci permette di prendere le decisioni migliori al tavolo, sarebbe giusto utilizzarle nel migliore dei modi, piuttosto che provare ad eliminarle.

Incanalando tutta questa energia verso la strada del miglioramento, preservandola per pescare dal nostro cervello le soluzioni più adatte al nostro gioco, la capacità di migliorare come giocatori, si moltiplica esponenzialmente.

La cartina di tornasole è data dall'esempio diametralmente opposto, visto che chi si accorge di avere un temperamento fin troppo tranquillo, calmo e pacato e pensa di dover esprimere e percorrere un cammino più "movimentato", che possa servire a migliorare il proprio gioco, dovrebbe farlo partendo proprio da ciò che crede sia un difetto.

La riflessione è infatti una peculiarità che alcuni giocatori non hanno affatto ed altri hanno in eccesso.

"In medio stat virtus", dicevano i nostri padri e, statene certi, a quell'epoca il poker non esisteva, ma la capacità di leggere il proprio "io" meglio di quanto generalmente facciamo ai nostri giorni, sì.

"C'è chi pensa che sia impossibile prendere parte a tutti i tavoli finali dei tornei a cui si partecipa. Questo è vero per tutti. Tranne per chi li racconta".
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